Le piante geneticamente modificate, l’alimentazione e la salute

Piante per produrre vaccini
Recentemente è stata dimostrata l’utilità delle piante geneticamente modificate nel prevenire le malattie di alcuni animali. Un esempio viene dalla realizzazione di patate geneticamente modificate capaci di immunizzare il coniglio contro il virus RHDV, che causa una febbre emorragica con gravi danno al fegato e al sistema sanguigno, portando l’animale alla morte.
Ricerche come queste aprono le porte allo sviluppo di tutta una serie di OGM in grado di produrre un’ampia gamma di proteine immunizzanti, con le quali “vaccinare” molte specie animali di interesse zootecnico.

Il miglioramento delle caratteristiche organolettiche
La ricerca biotecnologica applicata all’alimentazione sta lavorando da diversi anni su due direttrici principali: il miglioramento della qualità degli alimenti e il loro arricchimento dal punto di vista nutrizionale. Alcuni OGM caratterizzati da una migliore qualità hanno già ottenuto l'autorizzazione alla commercializzazione. Il primo è stato il pomodoro: bloccando la produzione dell'enzima che causa il rammollimento dopo la maturazione (poligalatturonasi), è conservabile più a lungo ed è meno esposto agli attacchi di muffe e batteri. Anziché raccoglierlo ancora acerbo, il frutto può essere lasciato maturare più a lungo sulla pianta, garantendo migliori qualità alimentari, senza trascurare il fatto che un frutto più consistente, dalla polpa migliorata, presenta minori problemi di trasporto.
Nei Paesi in via di sviluppo, dove spesso le vie di comunicazione sono scarse e difficoltose, la possibilità di mantenere intatte le derrate agricole durante il lungo trasporto tra i campi e le città avrà un’importanza crescente, soprattutto per il fenomeno del continuo aumento della popolazione urbana.
Il pomodoro conservabile più a lungo è un tipico esempio di OGM che non contiene un gene ‘straniero’: la modifica genetica è infatti ottenuta prelevando un gene dalla stessa pianta e reinserendolo poi in orientamento opposto (girato al contrario).

OGM per la salute umana
Uno degli obiettivi più rilevanti delle biotecnologie è quello di aiutare a risolvere i problemi di alimentazione: in questa direzione la ricerca ha prodotto importanti risultati, come una varietà di pomodoro con una più forte presenza di licopene, sostanza antiossidante che protegge i vasi sanguigni e previene alcune forme di tumore.
È stata anche brevettata e resa disponibile gratuitamente ai Paesi in via di sviluppo una varietà di riso geneticamente modificato contenente beta-carotene. I carotenoidi sono importanti per la salute umana: in quanto antiossidanti e distruttori di radicali liberi, possono contribuire a prevenire il cancro, le malattie cardiache e l'invecchiamento precoce. Il beta-carotene è un precursore della vitamina A, indispensabile per il funzionamento normale della vista, per la crescita, per lo sviluppo delle ossa e per l'immunità contro le malattie. La carenza di vitamina A rappresenta un grave problema sanitario in ben 118 paesi, in quanto causa primaria di 500.000 casi di cecità irreversibile e di quasi 2 milioni di morti ogni anno nei paesi la cui dieta si basa sul riso. Si stima che alleviando la carenza di vitamina A tra i bambini in età prescolare dei Paesi in via di sviluppo, sia possibile ridurne la mortalità fino al 23 per cento.
È inoltre allo studio un riso geneticamente migliorato ricco di ferro e dotato di una proteina che ne favorisce l’assorbimento nell’intestino. Di questo riso potrebbero beneficiare circa quattro miliardi di persone la cui dieta è carente di ferro.

OGM e ”agricoltura sostenibile”
Cosa si intende per agricoltura sostenibile? In sintesi, è un’agricoltura che, pur rimanendo intensiva (cioè in grado di produrre grandi quantità di alimenti su superfici limitate) riduce l’impatto ambientale provocato dalle sostanze chimiche utilizzate contro le erbe infestanti e come fertilizzanti.
Le piante geneticamente modificate rappresentano un mezzo molto importante per raggiungere questo obiettivo: l’ingegneria genetica infatti permette di adattare le piante all’ambiente nel quale sono coltivate. Esattamente il contrario di quanto è costretta a fare l’agricoltura convenzionale che, attraverso sostanze chimiche, cerca di adattare l’ambiente alla pianta.
Già oggi, molte piante geneticamente modificate limitano l’impiego della chimica nelle coltivazioni. Quelle che si autoproteggono da insetti, funghi o batteri, per esempio, riducono o addirittura eliminano l’uso dei fitofarmaci necessari per controllare questi parassiti; quelle modificate per resistere agli erbicidi a largo spettro permettono un utilizzo più intelligente dei composti chimici disponibili, e sono quindi utili nel limitare i danni causati dall’accumulo nell’ambiente dei tradizionali erbicidi, usati per debellare le erbe infestanti.
Le piante geneticamente modificate possono rappresentare un passo concreto verso la riduzione dell’impatto ambientale dell’agricoltura, senza che ciò comporti una perdita di produttività.

Il controllo delle erbe infestanti
La crescita di piante infestanti, che sottraggono alle colture acqua, luce e nutrimento, causa notevoli danni alle coltivazioni: si stima che ogni anno nel mondo le perdite siano pari al 10-15% di tutti i raccolti. Per affrontare questo problema si ricorre normalmente alla distribuzione sui campi di sostanze chimiche ad azione erbicida: senza ricorso a questi composti, le perdite sarebbero molto più elevate.
Il massiccio impiego di erbicidi (o diserbanti) nell’agricoltura moderna, però, comporta rischi di inquinamento, soprattutto per quanto riguarda le falde acquifere. Inoltre, gli erbicidi utilizzati per una certa coltura spesso rimangono per un periodo più o meno lungo nel terreno, impedendo una ottimale rotazione delle coltivazioni. Esistono erbicidi a basso impatto ambientale, che però non sono selettivi, il cui impiego è cioè limitato dal fatto che uccidono anche le colture. La possibilità di coltivare piante ‘tolleranti’ a questi erbicidi ne permette l’utilizzo non solo in alternativa a diserbanti molto più inquinanti, ma anche in dosi più limitate, grazie alla possibilità di usarli in maniera più razionale.
Attraverso l’ingegneria genetica è possibile ottimizzare queste potenzialità, conferendo la tolleranza alle varietà che non la possiedono.
Esempi concreti sono la soia tollerante al glufosinate e la soia tollerante al glifosate, tra le prime piante geneticamente modificate a essere immesse sul mercato, coltivate a partire dal 1996 e oggi molto diffuse, tanto da risultare le colture geneticamente modificate più coltivate in tutto il mondo. Il glufosinate ed il glifosate sono erbicidi non selettivi che permettono un intervento efficace con dosi ridotte e sono considerati tra i migliori per quanto riguarda la ridotta tossicità ed il limitato impatto ambientale: questi prodotti, e quelli simili, si degradano rapidamente a contatto con il suolo e terminano la loro azione poche ore dopo che sono stati diffusi nell’ambiente.
Altre varietà vegetali, come mais, soia, barbabietola da zucchero e riso, sono state rese invece resistenti a questi erbicidi o ad altri con analoghe caratteristiche eco-tossicologiche favorevoli.

La resistenza ai virus
Oltre agli erbicidi, l’agricoltura moderna fa uso di altri composti chimici, chiamati fitofarmaci, che vengono sparsi sulle coltivazioni per impedire che siano danneggiate dagli insetti, dai parassiti e dai microrganismi fitopatogeni (che causano cioè malattie delle piante). Nessuna di queste sostanze però può difendere le piante dai virus vegetali. Alcuni di questi virus sono un vero flagello per le colture: interi raccolti di pomodori, per esempio, vanno perduti ogni anno a causa del virus del mosaico del cetriolo che attacca sia la pianta che la bacca, distruggendole in pochi giorni.
Oggi questi danni possono essere finalmente limitati grazie all’uso delle biotecnologie che hanno permesso di scoprire le modalità di infezione dei virus e di sviluppare delle tecniche per contrastare le virosi.
Sono stati sviluppati ben tre approcci diversi, ognuno dei quali si è rivelato utile.
Il primo consiste nell’introdurre nella pianta il gene del ‘capside’, che è il rivestimento (innocuo e non tossico) del virus: in questo modo l’agente patogeno “crede” che la pianta transgenica sia già infetta ed evita di attaccarla. Un secondo metodo si basa, invece, sulla possibilità di bloccare la produzione delle proteine virali all’interno delle cellule della pianta, introducendo un RNA (un acido nucleico parente del DNA) “complementare” a quello del virus, in modo che si leghi a quello virale impedendo l’avvio della malattia. Un terzo metodo, infine, sfrutta un acido nucleico presente nel virus che attenua la malattia: lo si inserisce nella pianta e, nel caso questa venisse attaccata, i sintomi della malattia sarebbero più blandi, senza danni per l’agricoltore.
Le sperimentazioni di queste tecniche stanno dando buoni risultati. Prendiamo il caso del pomodoro San Marzano: è un ortaggio condannato all’estinzione a causa di una malattia causata dal virus mosaico del cetriolo. Questo ‘oro rosso’ è stato modificato geneticamente attraverso l’inserimento di un frammento del capside del virus. Le piantine geneticamente modificate sono resistenti e hanno mostrato di essere uguali in tutte le altre caratteristiche alle piante ‘normali’: gli esami a cui sono state sottoposte dimostrano che non vi sono differenze nel gusto, nel colore, nella forma, nelle qualità alimentari rispetto ai pomodori San Marzano non modificati.

Contro gli insetti nocivi
Ogni anno circa il 13% della produzione agricola mondiale viene divorato dagli insetti, che rappresentano, di conseguenza, un enorme problema per la coltivazione delle specie vegetali e per l’alimentazione. La presenza degli insetti viene ridotta con l’uso di composti chimici, ma queste pratiche causano numerosi problemi: per una lotta efficace sono infatti necessarie dosi elevate di insetticidi, il che comporta un alto uso di sostanze chimiche nell’ambiente.
Le biotecnologie hanno permesso di ottenere piante di patata, mais e cotone capaci di ‘autoproteggersi’ dall’attacco di insetti nocivi, grazie a un gene del Bacillus thuringiensis (Bt), comune microrganismo del terreno. Questo gene abilita la pianta a produrre una sostanza tossica (tossina Bt) che causa la morte della piralide, un insetto che distrugge le coltivazioni di mais, divorandone gli steli dall’interno. La proteina Bt è tossica solo per un ristretto gruppo di insetti e innocua per gli insetti utili e la flora, gli animali e l’uomo: non a caso, i preparati commerciali di questa molecola sono già ampiamente utilizzati come bioinsetticidi da oltre trent’anni, anche nell’agricoltura biologica.
Proteggendo le piante, questa modificazione genetica offre importanti benefici anche alla salute umana. La piralide, infatti, forma gallerie all’interno della pianta e rosure sulle pannocchie: in queste si insediano particolari funghi che producono micotossine, sostanze cancerogene responsabili di tumori al fegato e ai reni, e strettamente correlate anche con l’insorgenza di tumori all’esofago. Le piante Bt sono protette dalla piralide e hanno livelli di micotossine molto più bassi delle piante tradizionali come conseguenza della minore infezione fungina.
Anche alcune varietà di patate (coltivate negli Stati Uniti e in Canada) sono state modificate per proteggersi dalla dorifora, l’insetto che causa le più ingenti perdite per questa coltivazione, con sistemi analoghi a quelli del mais.
Grazie all’aumento dell’estensione di colture geneticamente modificate, nel 1998 gli insetticidi usati su mais, cotone e soia sono diminuiti del 3,5% rispetto al 1997.

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