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statua in marmo raffigurante Afrodite        immagine

AFRODITE E PUDICITIA: LA FEMMINILITÀ VESTITA

LA FRAGRANZA PRESENTATA IN NOME DI AFRODITE E’ COSTITUITA DA:

AMBRA – GELSOMINO – FIORE D’ARANCIO - TUBEROSA - LEGNO di ROSA

L'intera cultura greca è costruita in funzione dei valori della persona, che viene identificata col suo corpo. La rappresentazione della figura umana diventa il problema centrale e il principale interesse dell'arte greca, e della scultura in particolare. Tra la fine dell'VIII e il VII sec.a.C. le prime manifestazioni della piccola plastica già denotano interesse nella direzione della ricerca dei volumi, della fisicità e del movimento. Con la comparsa del tempio, in sostituzione del santuario domestico, e con la conseguente ricerca di soluzioni monumentali nell'architettura e nella relativa decorazione si sviluppa la grande statuaria. Il processo evolutivo della plastica comincia a ruotare intorno a un solo grande motivo, quello del corpo nudo, nella sua versione armoniosa e fiorente.
La nudità viene costruita sul corpo umano come una veste che avvolgendolo supera i vincoli legati al pudore e ne esalta piuttosto la valenza culturale, sociale e politica. La nudità è intesa come un vero e proprio abito indossato dai Greci per autorappresentarsi. Il corpo umano, nella sua forma più esplicita e analitica, diviene cioè la rappresentazione di uno status sociale di eccellenza, quello di kalós kai agathós, nel quale la bellezza fisica è soprattutto espressione di areté, la virtù dei migliori per nascita, e il corpo bello e valente non è altro che l'astrazione del corpo nudo del giovane cittadino maschio aristocratico.
Di conseguenza attraverso la nudità l'uomo greco manifesta la consapevo­lezza di essere "diverso" da ciò che gli è inferiore: il barbaro, lo schiavo, la donna, mentre sul piano civile il nudo diventa prerogativa maschile; e così mentre i kouroi (statue di culto o votive di giovani rappresentati in forma idealizzata) sono sempre nudi, le korai (il corrispondente femminile) sono sempre vestite.
Pertanto, nelle raffigurazioni la nudità femminile è riservata solo a donne considerate ai margini della società civile, alle etere, che partecipano ai simposi maschili. Lo stesso Platone (Rep., V 452 ss.) ritiene che non può esserci nulla di più ridicolo nelle palestre di corpi nudi di donne accanto a corpi nudi di uomini. Nell'arte del periodo arcaico, in quella del periodo severo e per tutto il periodo classico la figura femminile, nella sua rappresentazione suprema, divinità o personaggi della mitologia, è ritratta sempre vestita; solo in alcune eccezioni è raffigurata parzialmente svestita, come nel caso di lapitesse aggredite da centauri, amazzoni combattenti, ninfe insidiate da satiri, menadi colte nel furore estatico, innocenti uccise, ovverosia quando la nudità, resa tutt'al più da un seno scoperto, può meglio esprimere la vulnerabilità della vittima di una violenza.
Nelle immagini del mondo stesso degli dèi, di fatto proiezione di quello umano, è sempre mantenuta la differenza, per cui divinità maschili come Zeus e Apollo sono di norma raffigurati nudi, nello splendore della loro fisicità, mentre di Hera, Afrodite o Artemide, ad esempio, bellezza e femminilità vengono sempre protette e nascoste sotto panneggi più o meno ampi, conformati plasticamente secondo i canoni estetici e formali della visione artistica che li ha generati. Traccia dell'inviolabilità di tale regola è conservata tra le pieghe stesse del racconto mitologico, se si narra che Tiresia fu accecato avendo visto per caso le nudità di Atena mentre la dea era al bagno presso la fonte Ippocrene, o se l'ignaro Atteone, trasformato in cervo da Artemide, morì sbranato dai suoi stessi cani, aizzati dalla cacciatrice divina scorta dal giovane mentre si bagnava a una fonte.
Tornando al periodo greco, in pieno V secolo a.C., a distanza appena di qualche decennio dall'ideale della Sosandra, l'arte di Fidia comincia a liberare dalle pesanti vesti dello stile precedente la fiorente bellezza di Afrodite e nel raffigurarla, nel frontone orientale del Partenone, mollemente distesa in grembo alla madre Dione, ne esalta le forme con un leggero e trasparente panneggio, che aderisce al corpo con effetti di vesti bagnate.

Nell'ambito della cerchia fidiaca è ancora Afrodite, stando al racconto di Plinio (Storia Naturale, XXXVI, 17), il soggetto della gara artistica tra gli scultori Alkamenes e Agorakritos. Si narra che, avendo perduto, Agorakritos vende la sua Afrodite al demo attico di Ramnunte, e per vendetta ne cambia il nome in Nemesi. La statua, ispirata all'Atena Parthènos fidiaca, rispetto al modello del maestro ri­sultava ancora più animata e flessuosa nel portamento giocato sul trattamento vibrato del ricco panneggio e sul ritmo dell'appoggio laterale a un pilastrino: si è creduto di riconoscerne due copie, derivate dallo stesso tipo, nella Demetra del Museo Vaticano e nella Hera Borghese di Copenhagen. La figura femminile della pregevole scultura in marmo pentelico rinvenuta in anni recenti nella Villa dei Papiri ad Ercolano trova riscontri pro­prio nelle copie dell'originale di Agora­kritòs.
L'Afrodite Cnidia, l'opera più celebre del maestro della charis, aprirà la strada alla nutrita serie delle Afroditi nude dell'arte ellenistica, nelle quali il tono sensuale delle varie raffigurazioni sancirà la tra­sformazione dal carattere sacro dell'amore in quello più terreno del desiderio amoroso. Si sta delineando il nuovo orizzonte ellenistico: il tabù che aveva accecato Tiresia e annientato Atteone è caduto definitivamente, e il nudo è ora solo il bell'involucro che nasconde un mondo nuovo, quello dei sentimenti, tutto da esplorare.

LA FRAGRANZA PRESENTATA IN NOME DI AFRODITE E’ COSTITUITA DA:

AMBRA – GELSOMINO – FIORE D’ARANCIO - TUBEROSA - LEGNO di ROSA

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